VALLE DEI TEMPLI

AREE ARCHEOLOGICHE

VALLE DEI TEMPLI

 PROVINCIA

Agrigento

COMUNE

Agrigento

INDIRIZZO

Casa Sanfilippo – Via Panoramica dei Templi, Agrigento (AG), Italia

ORARI

APERTURA

CHIUSURA

Collina dei Templi (Giunone, Concordia e Ercole)
8.30
19.00

Tempio di Zeus, Santuario delle divinità Ctonie e Tempio dei Dioscuri

9.00
19.00

 GIORNO DI CHIUSURA

     Mai

COSTO DEL BIGLIETTO

INTERO

RIDOTTO

VALLE DEI TEMPLI
€ 10
€ 5
VALLE DEI TEMPLI E MUSEO ARCHEOLOGICO
€ 7

BIGLIETTO RIDOTTO (50%)

  • Cittadini dell’Unione Europea di età compresa tra 18 e 25 anni;
  • Docenti delle scuole statali e non statali.

INGRESSO GRATUITO

  • Ingresso gratuito la prima domenica di ogni mese. N.B. Non si applica alle visite serali dalle 19:30;
  • Ingresso gratuito solo per i minori di anni 18. N.B. Biglietto d’ingresso gratuito cittadini dell’Unione Europea di età inferiore ai 18 anni;
  • Ingresso gratuito solo per docenti e studenti delle facoltà di Architettura, di conservazione dei Beni culturali, di Scienze della Formazione e dei corsi di laurea in Lettere o materie letterarie con indirizzo archeologico o storico – artistico, docenti e studenti delle accademie di Belle Arti;
  • Ingresso gratuito solo per personale dell’Amministrazione dei Beni culturali ed ambientali.

La Valle dei Templi uno di quei pochi luoghi al mondo dove si respira ancora la magica atmosfera del sogno e della mitologia greca, cui Pindaro la definì la città più bella dei mortali. Dal 1997 l’intera zona archeologica è stata inserita nella lista dei luoghi Patrimonio mondiale dell’umanità, redatta dall’UNESCO. È considerata un’ambita meta turistica, oltre alla più elevata fonte di turismo per l’intera città di Agrigento e una delle principali di tutta la Sicilia. Il parco della Valle dei Templi è considerato il parco archeologico più grande del mondo (1300 ettari). La nascita della polis Agrigentina è legata allo sviluppo della polis Geloa, infatti la città fu fondata nel 581 a.C. da alcuni abitanti di Gela, originari delle isole di Rodi e di Creta, col nome di Ἀκράγας (Akragas), dall’omonimo fiume che bagna il territorio. Fu una delle principali città del mondo antico, centro urbano importante sia economicamente che politicamente. L’insediamento fu protetto nel VI secolo da un sistema difensivo costituito da un circuito di mura che sfruttava le caratteristiche topografiche del luogo costituito dal pianoro su fianco di colline che dominavano il litorale e di cui la “valle dei templi” occupava il margine sud e non costituiva l’acropoli localizzata invece più a monte, in corrispondenza del nucleo medievale dell’attuale città. L’espansionismo militare di Akragas ebbe particolarmente impulso al tempo del tiranno Terone (488-473 a.C.) e della vittoria sui cartaginesi. Seguì un periodo di rivalità con Siracusa. I grandi templi costruiti nel V secolo testimoniano comunque la prosperità della città. Dopo il saccheggio da parte dei cartaginesi nel 408 a.C. seguì un periodo di decadenza della città, che comunque fu ricostruita. Dal 262 a.C. Agrigento entrò nel dominio romano, restando comunque una città importante. A partire dal VII secolo la città si impoverì e si spopolò ed il centro urbano si ridusse alla sola collina dell’acropoli, abbandonando così sia l’area urbana che la zona dei templi che si salvò così da trasformazioni urbane.

Il Tempio di Ercole

Tempio di Eracle o Tempio di Ercole (dal nome romano dell’eroe). L’edificio, di stile dorico arcaico, si trova sulla collina dei Templi, su uno sprone roccioso vicino alla Villa Aurea. La denominazione tempio di Ercole è un’attribuzione della cultura umanistica, basata sulla menzione ciceroniana (Verrine, II 4,94) di un tempio dedicato all’eroe non longe a foro, contenente una famosa statua di Ercole. Che l’agorà di Akragas sorgesse in questo posto non è però dimostrato; tuttavia è generalmente accettata. La cronologia tradizionalmente accettata del tempio, lo identifica come il più arcaico dei templi agrigentini, risalente agli ultimi anni del VI secolo a.C..  Tale datazione è basata sui caratteri stilistici e soprattutto su proporzioni, numero delle colonne, profilo della colonna e del capitello. Tuttavia alcuni riconducono il tempio all’attività di Terone, poiché presenterebbe innovazioni rispetto alla prassi architettonica del VI secolo a.C.. Si potrebbe in tal caso trattare del tempio di Atena ricordato da Polieno (Stratagemmi, VI 51) in relazione all’attività edificatoria di Terone, in corrispondenza della sua presa del potere. Anche i resti della trabeazione costituiscono un problema di datazione, poiché conosciamo due tipi di sime laterali con gronda a testa leonina, una prima – meno conservata dell’altra – databile al 470-60 a.C. e una seconda della metà circa del V secolo a.C.: probabilmente la prima gronda è quella originaria, e la seconda una sostituzione più tarda di pochi decenni (per motivi a noi sconosciuti), e che dunque il tempio si dati, nella sua fondazione, agli anni anteriori alla battaglia di Himera; il completamento sarebbe da collocare un decennio dopo, o poco più. L’edificio subì restauri d’età romana ed in particolare la tripartizione della cella che potrebbe indicare una dedicazione a varie divinità. Nel XX secolo interventi di restauro hanno reso possibile la ricostruzione per anastilosi di nove delle colonne del un fronte laterale sud-ovest, anche se privo di trabeazione e di alcuni capitelli. L’edificio, sorge sopra un krepidoma di tre gradini posto su di una sostruzione per i lati nord e ovest. Si tratta di un tempio periptero di proporzioni allungate (m 67×25,34); presenta un fronte con sei colonne doriche (esastilo) e colonnati laterali con 15 colonne. All’interno della peristasi si trovava una lunga cella munita di pronao ed opistodomo entrambi in antis, i cui resti sembrano indicare la distruzione dell’edificio a causa di un sisma. Nei resti dell’edificio si riconosce la presenza di scalette interne per l’ispezione del tetto poste dei piloni tra pronao e cella, che diventeranno una presenza tipica nei templi agrigentini. Le colonne, molto alte, sono munite di capitelli assai espansi, con profonda gola tra fusto ed echino, tratti questi che denotano, con l’allungamento della cella e l’ampia spaziatura dei colonnati rispetto alla cella, il relativo arcaismo dell’edificio, separato da almeno un trentennio dagli altri templi peripteri dorici agrigentini. Sulla fronte orientale sono i resti del grande altare del tempio.

Sul lato occidentale della città si conservano i resti delle Porte VI e VII, la prima probabilmente con porta e controporta al centro di una valletta attraversata da una strada diretta forse ad Eraclea, la seconda guarnita da due torri e, a valle, da due poderosi baluardi esterni, il primo dei quali è spesso oltre quindici metri, un sistema di difesa avanzata noto anche altrove nel mondo greco, e in Sicilia a Camarina. Più a nord sono i resti delle Porte VIII e IX, travolti dall’incivile speculazione edilizia, iniziata già nel dopoguerra e proceduta sistematicamente sulle pendici della Rupe Atenea, malgrado il tragico crollo di pochi anni or sono, che sollevò le proteste dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale.

Il Tempio della Concordia

Tempio della Concordia questo tempio, costruito come quello di Hera su di un massiccio basamento destinato a superare i dislivelli del terreno roccioso, per lo stato di conservazione è considerato uno degli edifici sacri d’epoca classica più notevoli del mondo greco (440 a.C.-430 a.C.). Su di un krepidoma di quattro gradini (m 39,44×16,91) si erge la conservatissima peristasi di 6×13 colonne, caratterizzate da venti scanalature e armoniosa entasi (curvatura della sezione verticale), sormontata da epistilio, fregio di triglifi e metope e cornice a mutuli; conservati sono anche in maniera integrale i timpani. Alla cella, preceduta da pronao in antis (come l’opistodomo) si accede attraverso un gradino; ben conservati sono i piloni con le scale d’accesso al tetto e, sulla sommità delle pareti della cella e nei blocchi della trabeazione della peristasi, gli incassi per la travatura lignea di copertura. L’esterno e l’interno del tempio erano rivestiti di stucco con la necessaria policromia. La sima mostrava gronde con protomi leonine e la copertura prevedeva tegole marmoree. La trasformazione in chiesa cristiana comportò anzitutto un rovesciamento dell’orientamento antico, per cui si abbatté il muro di fondo della cella, si chiusero gli intercolunni e si praticarono dodici aperture arcuate nelle pareti della cella, così da costituire le tre navate canoniche, le due laterali nella peristasi e quella centrale coincidente con la cella. Distrutto poi l’altare d’epoca classica e sistemate negli angoli a est le sacrestie, l’edificio divenne organismo basilicale virtualmente perfetto. Le fosse scavate all’interno e all’esterno della chiesa si riferiscono a sepolture alto-medievali, secondo la consuetudine collocate in stretto rapporto con la basilica.

Il Tempio di Vulcano

Tempio di Efesto, o tempio di Vulcano Le rovine di tale tempio si trovano all’estremità occidentale della Collina dei Templi, in prossimità della porta V. L’edificio, di stile dorico, risale al V secolo a.C. ed è di notevoli dimensioni e in (m 43×20,85). Si tratta di un tempio periptero di 6×13 colonne poste su un krepidoma di quattro gradini. I fusti, invece della scalanatura a spigoli vivi, presentano una rudentatura d’evidente influsso ionico, databile intorno al 430 a.C. Il tempio è assai mal conservato. Sono visibili solo poche parti dell’alzato ma sono leggibili le fondazioni. All’interno della cella sono stati rinvenuti i resti di un sacello arcaico che ha preceduto il tempio classico. Si trattava di un edificio prostilo con cella e pronao (m 13,25×6,50),databile al 560-550 a.C., di cui è stato possibile ricostruire la decorazione architettonica, con lastre a cassetta laterale e frontonale e una sima laterale con doccioni a tubo. L’edificio dorico fu sovrapposto a questo sacello mediante profondi intagli a tre gradini nella roccia.

Le Necropoli e le Tombe

All’estremità ovest dell’area su cui sorge il Tempio della Concordia, nel giardino di Villa Aurea si trova una parte della necropoli tardo-antica ed alto-medievale, in parte ricavata in antiche cisterne, di cui sono ancora conservati numerosi altri esempi. Notevoli due ipogei, uno ad ovest dell’ingresso, con le pareti munite d’arcosoli e il pavimento di fosse sepolcrali, ed un altro presso l’angolo sud-est della casa del custode, con un ambiente illuminato da un pozzo di luce nel soffitto e due cripte sottostanti. Altre tombe a fossa sono visibili sulla via dei Templi, con strada centrale che conduce alle cosiddette grotte Fragapane, uno dei più notevoli esempi catacombali della Sicilia, databili come impianto al IV secolo d.C. Un lungo braccio orientato perfettamente nord-sud collega la necropoli sub divo (all’aperto) all’ipogeo, con una successione di due rotonde con oculi nel soffitto. Sul corridoio e sulle rotonde si aprono loculi e cubicoli sepolcrali, mentre altri ambulacri conducono a settori laterali più o meno regolari, e ad altre due rotonde ad ovest, con sepolture in loculi, fosse, arcosoli e sarcofagi. Queste necropoli tardo-antiche e bizantine sono la naturale estensione di una vastissima necropoli ellenistico-romana, detta Giambertoni, che svolge in questo caso extra muros, con sepolture modeste in fosse o in sarcofagi, ma anche con tombe monumentali. Una di queste tombe monumentali, un heròon ellenistico prostilo tetrastilo su podio, è stato recentemente scavato, mentre il monumento più noto è la tomba di Terone. Si tratta di un sepolcro a naiskos (con probabile coronamento cuspidato) su alto podio a pianta quadrata, sormontato dal naiskos vero e proprio a parete piena e finte porte centrali, con colonne ioniche e trabeazione dorica, di un modello ben noto nell’Oriente ellenistico e poi diffuso attraverso la cultura ellenistica italica anche nelle province occidentali, tra tarda repubblica e primo impero. Per visitare questo sepolcro da vicino, basta attraversare la Porta IV (detta Aurea) che, pur conservata solo nei tagli della roccia, doveva essere una delle più importanti della città, poiché la collegava col mare e con Emporion: perciò qui si collocano più fitti i sepolcri ellenistici e romani e, fra questi, anche gli esempi più monumentali.

Il Tempio di Esculapio

Tempio di Asclepio, o tempio di Esculapio (dal nome romano della divinità della medicina). Il tempio è posto al centro della piana di San Gregorio. Si è propensi a ritenere l’identificazione tradizionale come probabile sulla scorta della descrizione di Polibio (I 18, 2), secondo il quale tale tempio doveva trovarsi “davanti alla città”, alla distanza di un miglio, dalla parte verosimilmente opposta alla strada per Eraclea. Tutta la distanza non corrisponde, però, bene all’indicazione polibiana (che potrebbe tuttavia avere carattere generico) e, soprattutto, l’isolamento e la relativa modestia ed antichità (per il culto d’Asclepio) dell’edificio lasciano perplessi sull’identificazione. Nel santuario di Asclepio si conservava una statua bronzea d’Apollo opera di Mirone, donata da Scipione alla città e rubata da Verre (Cicerone, Verrine, II 4, 93). Il piccolo tempio dorico in antis (m 21,7×10,7) sorge su krepidoma di tre gradini e basamento a vespaio più ampio del krepidoma stesso. Particolarità insolita dell’edificio è il falso opistodomo rappresentato da due semicolonne fra ante nella parte esterna del fondo della cella, che vuole così imitare una struttura amfiprostila. Sono note anche parti della trabeazione, con gronde a testa leonina, fregio e geison frontonale. La data del tempio va forse posta all’ultimo ventennio del V secolo a.C.

Il Tempio di Giunone Lacinbia

Tempio di Hera Lacinia o di Giunone (dal nome romano della dea), è un tempio greco. Fu edificato nella seconda metà del V secolo a.C., intorno al 450 a.C. e appartiene come epoca e come stile al periodo del dorico arcaico. Sono stati rilevati segni dell’incendio del 406 a.C. dopo il quale è stato restaurato in età romana, con la sostituzione delle originarie tegole fittili con altre marmoree e con l’aggiunta del piano inclinato alla fronte orientale. L’edificio è un tempio dorico periptero con 6 colonne sui lati corti (esastilo) e 13 sui fianchi, secondo un canone derivato dai modelli della madrepatria ed utilizzato anche per il tempio “gemello” della Concordia con il quale è accumunato anche dalle dimensioni generali e dalle misure, quasi standardizzate di alcuni elementi costruttivi. Le dimensione complessive sono di circa m 38,15×16,90. Il fronte presenta interassi leggermente diversi con la contrazione di quelli terminali e l’enfatizzazione di quello centrale. Il peristilio di 34 colonne alte m. 6,44 e costituite da 4 rocchi sovrapposti, poggia su un crepidoma di quattro gradini. Edificato su di uno sperone con un rialzo risulta in gran parte costruito artificialmente. L’interno è costituito da un naos senza colonnato interno, del tipo in doppio antis, dotato di pronao e opistodomo simmetrici, entrambi incorniciati da gruppi di due colonne (distili). Due scale per l’ispezione alla copertura o per motivi di culto, erano presenti nella muratura di separazione tra naos e pronaos. Attualmente si conserva il colonnato settentrionale con l’epistilio e parte del fregio, mentre i colonnati sugli altri tre lati sono conservati solo parzialmente (mancano 4 colonne e 9 sono smozzate), e senza architrave. Pochi sono gli elementi rimasti della cella di cui rimane la parte bassa della muratura che la delimitata. L’edificio è stato così ricostruito mediante anastilosi fin dal Settecento ad oggi. Davanti al fronte principale (orientale) ci sono notevoli resti dell’altare.

Il Tempio di Zeus

Resti del Tempio di Zeus Il complesso dell’Olympeion s’incentra sul colossale edificio sacro, descritto in termini entusiastici da Diodoro (XIII 81, 1-4) e ricordato da Polibio (IX 27, 9). Oggi il tempio è ridotto ad un campo di rovine dalle distruzioni iniziate già nell’antichità e proseguite fino ad epoca moderna, quando l’edificio venne usato (ancora nel secolo XVIII) come cava di pietra per la realizzazione dei moli di Porto Empedocle. L’aspetto complessivo del tempio è nelle grandi linee noto, ma sussistono ancora molte controversie su particolari importanti della ricostruzione dell’alzato, cui è dedicata un’intera sala del Museo Nazionale. Il tempio misurava m 112,70×56,30 allo stilobate. Su di un poderoso basamento, sormontato da un krepidoma di cinque gradini, si collocava il recinto, con sette semicolonne doriche sui lati corti e quattordici sui lati lunghi, collegate fra loro da un muro continuo e alle quali, all’interno, facevano riscontro altrettanti pilastri. Negl’intercolunni di questa pseudo-peristasi, a metà altezza circa del muro e – sembra – su di una sorta di piedistallo costituito da una cornice continua, posavano dei telamoni alti ben 7,65 metri, che, con le gambe divaricate e le braccia ripiegate dietro la testa, dividevano con le colonne il peso degli architravi della pseudo-peristasi. Dubbi sussistono sulla presenza di finestre, intervallate fra i telamoni e le semicolonne, che si pensa dessero luce all’interno della pesudo-peristasi, tra questa e la cella, se il tempio (che nella parte della cella era certamente ipetrale, ossia scoperto) si presentava invece coperto almeno nello spazio degli pteròmata. La cella era costituita da un muro collegante una serie di dodici pilastri per ciascuno dei lati lunghi, di cui quelli angolari delimitavano gli spazi del pronao e dell’opistodomo, mentre l’ingresso della pseudo-peristasi alla cella stessa era assicurato mediante porte, di numero e di localizzazione incerta, aperte nel muro continuo della pseudo-peristasi. La gigantesca costruzione era interamente realizzata a piccoli blocchi, comprese le colonne, i capitelli, i telamoni e gli architravi, ciò che lascia molte incertezze sull’effettivo sviluppo dell’alzato: per citare alcuni dati certi, oltre alla già ricordata altezza dei telamoni (m 7,65), la trabeazione era alta m 7,48 e il diametro delle colonne era di m 4,30, con scanalature nelle quali – come afferma Diodoro – poteva entrare comodamente un uomo, mentre le colonne dovevano sviluppare un’altezza calcolata tra i 14,50 e i 19,20 m; la superficie copriva un’area di 6340 m2. La descrizione di Diodoro parla di scene della gigantomachia ad est e della guerra di Troia ad ovest. Si è discusso se egli parli di decorazione frontonale o di semplici metope (a Selinunte – ricordiamo – solo le metope del pronao e dell’opistodomo sono decorate), ma la scoperta recente di un attacco tra un torso di guerriero ed una bellissima testa elmata di pieno stile severo (al Museo Nazionale), conferma che il tempio aveva una decorazione marmorea a tutto tondo più compatibile con cavi frontonali che con spazi metopali, di cui si è sempre, in età classica ed ellenistica, avvertita l’originaria funzione di spazio da chiudere, eventualmente dipinto (e la decorazione a rilievo è appunto sostitutiva di quella dipinta).

L’Olympeion – afferma Diodoro – rimase incompiuto per la conquista cartaginese: sempre secondo Diodoro, esso era privo di tetto per le continue distruzioni subite dalla città. Di esso restano visibili l’angolo sud-est, due tratti settentrionali della pseudo-peristasi, i piloni del pronao, dell’opistodomo e metà circa del lato nord della cella. Intorno ai resti del basamento si conservano, talora in posizione di caduta, alcune parti dell’alzato, nonché la ricostruzione di un capitello e di un telamone (in calco; l’originale al Museo). Davanti alla fronte orientale è visibile il basamento a pilastri dell’altare, non meno colossale del tempio (m 54,50×17,50). Presso l’angolo sud-est del tempio si conserva un piccolo edificio (m 12,45×5,90) a due navate con profondo pronao, doppia porta d’accesso ed altare (?) antistante, un sacello piuttosto che un thesauros, di cronologia controversa, secondo alcuni d’età ellenistica, ma molto probabilmente arcaico, viste le numerose terrecotte architettoniche di VI secolo a.C., rinvenute nella zona durante gli scavi del Gabrici del 1925. A sud-ovest di questo sacello, lungo la linea delle mura, sono i resti di una stoà del IV secolo a.C., con una vasca intonacata all’estremità orientale e cisterne sulla fronte e alle spalle, da dove proviene materiale votivo d’età timoleontea, mentre resti di un precedente edificio (cui sembrano da riferirsi le cisterne) sono visibili attorno alla cisterna più vicina alle mura.

Il Tempio dei Dioscuri o di Castore e Polluce

Pochi metri a nord del cosiddetto tempio L, un’altra complessa serie di tagli nella roccia e di fondazione costituisce un capitolo della difficile storia dell’area sacra: è la pittoresca rovina ricostruita nella prima metà dell’Ottocento con pezzi di varia epoca rivenuti nella zona e battezzata tempio dei Dioscuri. La rovina insiste sull’angolo nord-ovest di un edificio templare misurante m 31×13,39 allo stilobate (i tagli nella roccia misurano m 38,69×16,62), che è ricostruibile come un periptero dorico di 6×13 colonne, della metà circa del V secolo a.C. Il tempio doveva presentare il canonico insieme di cella terminata da pronao ed opistodomo in antis (visibili pochi resti del vespaio delle fondazioni, e i tagli nella roccia); i resti del geison con ricca ornamentazione scolpita messi in opera nella rovina non appartenevano originariamente al tempio. Questo pseudo tempio è comunemente utilizzato a fini turistici e riprodotto in souvenir.

Il Giardino Della Kolimbetra

“Una piccola valle che, per la sua sorprendente fertilità, somiglia alla valle dell’Eden o ad un angolo della Terra promessa.”

Abate di Saint Non, 1778

La Kolymbetra è un autentico gioiello archeologico e paesaggistico situato all’interno del Parco della Valle dei Templi, tra il Tempio dei Dioscuri ed il Tempio di Vulcano, tornato alla luce dopo decenni di abbandono.

Di particolare rilievo gli antichi ipogei o “Acquedotti Feaci”, gli unici visitabili della Valle dei Templi, risalenti al V° sec. a.C. quando alimentavano l’antica piscina. Ancora oggi sgorgano limpide acque utilizzate per l’irrigazione del Giardino ricco di antichi agrumi, frutti e olivi secolari.

L’antica famosa Colimbètra akragantina era veramente molto più giù, nel punto più basso del pianoro, dove tre vallette si uniscono e le rocce si dividono e la linea dell’aspro ciglione, su cui sorgono i Tempii, è interrotta da una larga apertura. In quel luogo, ora detto dell’Abbadia bassa, gli Akragantini, cento anni dopo la fondazione della loro città, avevano formato la pescheria, gran bacino d’acqua che si estendeva fino all’Hypsas e la cui diga concorreva col fiume alla fortificazione della città”

Da “I vecchi e i giovani” di Luigi Pirandello

Le origini della Kolymbetra risalgono all’epoca in cui i greci colonizzarono la Sicilia (500 a.C.) e la sua storia è legata allo sviluppo dell’antica città di Akragas. Diodoro Siculo narra che il tiranno Terone affidò all’architetto Feace il compito di progettare un sistema idrico per approvvigionare la città. Parte di questo sistema si concludeva ai piedi dell’urbe, in una grande bacino detto Kolymbetra:

“…una grande vasca…del perimetro di sette stadi….. profonda venti braccia….dove sboccavano gli Acquedotti Feaci, vivaio di ricercata flora e abbondante fauna selvatica…” (Diodoro Siculo I sec. d.C., XI, 25)

Oggi il giardino riassume nei suoi cinque ettari il paesaggio agrario e naturale della Valle dei Templi. Nelle zone più scoscese si trovano lembi intatti di macchia mediterranea; nel torrente che solca il fondovalle ci sono pioppi, salici e tamerici; sugli ampi terrazzamenti, compresi tra suggestive ed alte pareti di calcarenite, un antico agrumeto ricco di tante specie e varietà oramai rare, coltivato secondo le tecniche della tradizione araba.

Negli ultimi decenni del Novecento la Kolymbetra cadde in abbandono sino all’intervento del FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano, a cui il Giardino è stato affidato in concessione dalla Regione Siciliana nell’anno 1999. Dopo avere provveduto al recupero paesaggistico, il FAI ha restituito al pubblico questa importante testimonianza storica e naturalistica della nostra civiltà. E’ fruibile dal 10 novembre 2001.

Montalbano telefonò a Marinella. Livia era appena rientrata, felice. “Ho scoperto un posto meraviglioso, sai? “Si chiama Kolymbetra. Pensa, prima era una vasca gigantesca, scavata dai prigionieri cartaginesi”. “Dov’è?” chiese Montalbano “Proprio lì, ai templi. Ora è una specie di enorme giardino dell’eden, da poco aperto al pubblico”……… …….. Promettimi che un giorno o l’altro ci vai.”

da “La pazienza del ragno” di Andrea Camilleri Sellerio editore Palermo, 2004.

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