Forse da sempre nell’animo dei prizzesi c’è stato lo spirito dell’avventura, il coraggio nel pericolo, la disponibilità verso gli altri specialmente se forestieri. Storia, tradizione, fede e leggenda si sono, inconsapevolmente, trovati d’accordo nell’assegnare a Prizzi, come protettore, San Giorgio martire, cavaliere senza paura. In provincia di Palermo è patrono assoluto di Prizzi e Piana degli Albanesi, è compatrono di Caccamo, Vicari, Castelmola, Modica, Manforte San Giorgio, Ragusa, Sambuca di Sicilia. Lo fu anche di Castronovo di Sicilia fino al 1680, quando i castronovesi gli preferirono il concittadino San Vitale. La diffusione del culto in Sicilia arriva con i normanni attorno all’anno 1100, i quali, dopo averlo elevato a protettore dell’Inghilterra, lo ebbero come simbolo e protettore contro i saraceni.
A Prizzi gli è stata dedicata la Chiesa Madre, ricostruita nel 1561, probabilmente sull’area di un’antica chiesetta dove lo si venerava. Lo si festeggia il 23 aprile, con la prima fiera zootecnica dell’anno, la fiera di San Giorgio, con la messa cantata, la processione, i giuochi d’artificio. I festeggiamenti hanno avuto impulso e vigore in questi ultimi anni anche per merito di un comitato cittadino coordinato dall’arcipretura. La sua statua lignea, policroma, si trova all’altare maggiore. Il Santo è raffigurato da un ufficiale romano in posizione di riposo, ricoperto da uno splendido mantello rosso, bello nel portamento, radioso nel viso giovanile, circondato da riccioli dorati, con sul capo l’elmo piumato, con la mano destra che impugna la palma d’oro del martirio, quella sinistra sventola la bandiera rossa della vittoria. E’ talmente affascinante che ancora quando si vuole fare un complimento a qualche giovanotto, si dice che è bello come San Giorgio. Quello di Prizzi è a piedi, mentre nell’iconografia ufficiale, molto diffusa nel Ragusano, è a cavallo ad un imponente destriero bianco nell’atto in cui con la lancia trafigge l’orrido drago verdastro. Nato da padre persiano e da madre cappadoce, fu soldato di Diocleziano, si convertì al cristianesimo e morì decapitato a Nicodemia nell’anno 300 perché non volle rinunziare alla sua fede.
La tradizione religiosa del Santo, venerato fin dai primi secoli del cristianesimo, giunta intatta ai giorni nostri, è legata alla leggenda della sua vita, narrata da Jacopo da Verazze nel XIII secolo. In Libia, presso la città di Silene viveva, nelle acque di un grande lago, un drago, animale immondo, terribile e feroce, capace di uccidere con lo sguardo e con i miasmi puzzolenti del suo alito. Per placarne l’ira i cittadini di Silene gli davano in pasto due pecore al giorno. Dopo qualche tempo le pecore scarseggiarono. Si sacrificò allora una pecora e una fanciulla tirata a sorte. Un giorno toccò alla figlia del re. Mentre sostava sulla riva del lago in attesa di essere sbranata, si trovò a passare Giorgio, cavaliere dell’imperatore Diocleziano, bello e possente. La gente piangeva, il re era disperato. Appresa la notizia, il coraggioso cavaliere trafisse con la sua lancia il drago. Il popolo esultò e per gratitudine si convertì al cristianesimo, la fede di Giorgio. La notizia giunse all’imperatore che chiamò il suo cavaliere, gli impose di rinunciare alla fede cristiana, lo sottopose ad ogni sorta di supplizi. Giorgio fu forte come una roccia e Diocleziano lo decapitò.
La leggenda di San Giorgio il Grande si diffuse tra i popoli, fu conosciuta anche a Prizzi. Gli abitanti, devotamente e orgogliosamente lo elessero loro protettore. In ogni famiglia crebbe un Giorgio, nel ricordo del cavaliere cristiano senza paura.
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