FESTA DEL “MUZZUNI” La festa popolare più antica d’Italia – Alcara Li Fusi (ME), Un imperdibile weekend tra cibo e feste, natura e cultura, tanti appuntamenti, escursioni, visite guidate, rassegna di canti popolari. Il 24 giugno “La Notte del Muzzuni”, il “Muzzuni” è una festa pagana, nella quale sono presenti i tratti distintivi di riti risalenti alla civiltà ellenica, retaggio di un antico rito legato al mondo contadino, è infatti, un rito propiziatorio alla fertilità della terra, un inno al rigoglio della natura, all’amore e alla giovinezza,
La Festa coincideva con il Solstizio d’Estate; originariamente veniva celebrata il 21 giugno; con l’avvento del Cristianesimo, venne spostata al 24 giugno, giorno dedicato a San Giovanni Battista, martire decapitato. Da allora elementi pagani e cristiani si mescolano in questo rito che si ripete da secoli. Il termine “Muzzuni” fa riferimento, probabilmente, alla brocca priva di collo (“mozzata”), o al grano che viene falciato e raccolto in fascioni (“mazzuna”) e, dal punto di vista religioso, a San Giovanni decollato (con la testa mozzata). Nella cittadina, questo rito propiziatorio è sopravvissuto fino ai giorni nostri evidenziando la sua vera origine tutta greca e profana. Per comprendere il significato e la simbologia della festa del “Muzzuni”, si deve fare riferimento agli antichi popoli degli Stati Minori della Grecia ed alla stessa storia di Alcara.
Si narra, infatti, che intorno al XII sec. A.C., dopo la caduta di Troia (1183 A.C.), i Greci superstiti abbandonarono la loro Patria sotto la guida di Enea; durante il viaggio un certo “Patrone”, natio della citta di Turio, con alcuni seguaci, si separò da Enea e sbarcò sulla costa tirrenica della Sicilia stabilendosi in un luogo ameno e ricco di sorgenti d’acqua. Qui fece costruire un castello da lui detto Turiano, attorno al quale ebbe origine il primo nucleo abitativo, che in seguito divenne Alcara. Tali popoli veneravano divinità agresti quali DEMETRA (della terra), KORE (della vegetazione), AFRODITE (dell’amore), ADONE (della fertilità), e DIONISIO (dell’euforia); essi continuarono a mantenere i costumi ed i culti della madrepatria “grecizzando” anche i territori colonizzati.
La festa sisvolge la sera e per tutta la notte del 24 giugno. All’imbrunire inizia la fase preparatoria della festa le cui protagoniste sono esclusivamente donne. Gli angoli più caratteristici del paese vengono “preparati” per accogliere gli altarini su quali verrà posto “U Muzzuni”. Attorno ad essi, sulle pareti, sui balconi e sulla strada, vengono stese le “pizzare”: tipici tappeti tessuti con l’antico telaio a pedale utilizzando ritagli di stoffa. Sulle “pizzare”, disposte intorno ed ai piedi dell’altarino, vengono poggiati i piatti con i “LAUREDDI” (steli di grano fatto germogliare al buio), spighe ed umili oggetti del mondo contadino.
Terminata questa fase, le donne rientrano in casa per preparare “U MUZZUNI”. Esso è costruito da una brocca dal collo mozzo rivestita da un foulard di seta ed adorna di ori appartenenti alle famiglie del quartiere. Dalla sommità della brocca fuoriescono steli di orzo e grano fatti germogliare al buio, lavanda, spighe di grano già maturato e dei garofani. Completato l’allestimento del Muzzuni, una giovinetta del quartiere, simboleggiante le antiche sacerdotesse pagane, lo porta fuori e lo colloca sull’altrare già pronto. Si entra così, nel vero e proprio clima della Festa: ogni quartiere che ospita il “Muzzuni” viene animato con musiche e canti popolari.
In Particolare, i “Cantori” intrecciano “CHIANOTE” e “RUGGERE” canti polifonici che hanno come tema la vita contadina e sopratutto l’amore. Sono duetti scherzosi uomo-donna, canti di corteggiamento e d’amore, a volte non corrisposto. Ancora oggi davanti al “Muzzuni” si rinnova il “RITO DEL COMPARATICO”, mediante il quale si rafforzano vecchie amicizie e se ne intrecciano di nuove. I due che vogliono suggellare l’amicizia si scambiano i confetti, “A CUNFETTA”, quindi recitano:
Iriteddu facitini amari
chi ‘nni ficimu cumpari
‘nzoccu avemu ‘nni spartemu
e mai ‘nni sciarriamu
cumpari semu e cumpari ristamu
quannu veni ‘a morti ‘nni spartemu.
Traduzione:
Piccolo dito facci amare
perchè ci siamo fatti compari
quello che abbiamo ci dividiamo
e giammai ci bisticciamo
compari siamo e compari restiamo
quando viene la morte ci separiamo.
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